12 febbraio 2022
Nata come culla dell’ozio e dei piaceri, diventata prigione per donne “scomode”. Tanto suggestiva, per quel suo lusso raffinato e l’affaccio sull’azzurro sconfinato del mare, quanto tragica gabbia per figlie, mogli, nipoti condannate dalla famiglia imperiale. Un esilio tutto al femminile per la Villa di Punta Eolo, così romanticamente battuta dai venti, eretta sull’isola di Ventotene, nell’arcipelago pontino. È da qui che partono e si intrecciano le tante storie delle “Donne romane in esilio a Ventotene”, il nuovo libro di Mariarosaria Barbera, illustre archeologa di lunga carriere nei Beni culturali, ex Soprintendente di Roma e direttrice del parco archeologico di Ostia Antica (Edizioni Ultima Spiaggia).
Intrecciando fonti storiche, con le ultime ricerche e le recenti indagini archeologiche, vengono ricostruite le vicende poco note delle donne della Roma imperiale legate all’isola Pontina. A partire da Giulia, figlia di Augusto. Vite consumate dai giochi politici, un confinamento forzato, villeggiatura e tradimenti, amori fatali. Pagine amabili nella narrativa e curiose per il fitto corredo di informazioni, che invitano a riscoprire l’isola attraverso la voce delle donne. Tu chiamale, se vuoi, emozioni, condensate in una guida insolita.
Il libro nasce nell’ambito delle attività di riqualificazione promosse dal Commissario straordinario per il restauro e la valorizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano-Ventotene Silvia Costa. È stata proprio l’intuizione della Costa a scrivere un libro che racconti Ventotene attraverso le donne. «Sono esili veri e propri, decisi dagli imperatori che le hanno così punite - racconta Mariarosaria Barbera - La pratica era espressamente prevista, col nome di relegatio in insulam e poteva essere anche revocata/trasformata, come avvenuto con Giulia, spedita a Reggio Calabria e a Livilla, che in un primo tempo tornò a corte e poi fu nuovamente esiliata. In pratica, sono le radici storiche del confino, applicato poi su larga scala dai Borboni e infine dal Fascismo».
Il bello del volume è proprio l’intreccio certosino di dati storici e tracce archeologiche: «Con gli scavi moderni della Villa di Ventotene, voluti e coordinati dallo scomparso Giovanni Maria De Rossi - ricorda l’autrice - sono emersi elementi nuovi sulla storia della villa, ad esempio la creazione e il rifacimento di settori destinati alle illustri esiliate, arricchiti da splendide decorazioni pittoriche, la trasformazione delle strutture, il loro uso fino alla tarda antichità e oltre». Lungo i capitoli prendono corpo donne dall’età di Augusto a Domiziano, come Giulia, la figlia Agrippina Maggiore, Ottavia moglie di Nerone, Domitilla nipote di Domiziano, Livilla sorella di Germanico e Claudio, cui venne inflitta qui la morte per fame.
La preferita dall’autrice? «Agrippina Maggiore. E’ la più politica e determinata tra le esiliate, la sua storia mi era nota dalle pagine di Tacito. Oltre a questo, è forse la donna più sventurata, perché vede esiliare e/o uccidere praticamente l’intera famiglia, incluso il marito amatissimo; proprio a Ventotene, poi, viene raggiunta dalle tremende notizie sulla morte di due dei tre figli maschi. Ma anche la vicenda di Giulia non è da meno, con tre mariti, anche se almeno lei ha avuto il conforto della madre “recuperata”, Scribonia». Per Giulia, condannata strumentalmente per adulterio e sfrenatezza sessuale (in realtà per aver congiurato il parricidio), il regime di esilio le negava «anche il vino e ogni delicatezza della vita, le visite maschili e ogni altro incontro».
Viene voglia di passeggiare lungo i sentieri e le scogliere dell’isola con il volume in mano per incontrarle: «A Ventotene resta certamente il ricordo di queste donne, la cui storia è possibile ricondurre “fisicamente” ai resti della splendida villa costruita da Marco Vipsanio Agrippa, generale e fidatissimo collaboratore di Augusto, che di Giulia divenne il secondo marito e padre dei suoi cinque figli. Porrei l’accento anche sulla considerazione che una bella residenza per le vacanze si trasforma in una prigione, lussuosa quanto si vuole, ma crudele. I padiglioni immersi nel verde della villa-prigione sono l’ultima immagine su cui, morendo, si fissa lo sguardo di Agrippina Maggiore, di Livilla e dell’incolpevole Ottavia, moglie di Nerone».